Mura, Rifugio Nasego, Lago di Bongi lungo il sentiero Caduti per la Liberta’

Il sentiero Caduti per la libertà è situato prevalentemente nel comune di Mura e, in parte, nella zona di confine con la frazione Noffo di Pertica Alta, un territorio connotato dall’imponente mole della Corna di Savallo, una massa di rocce grigiastre composte da dolomia.

DATI
Percorso ad anello: Mura (m 687), Cascina Vaso (1062), Nasego (1302) , Corna di Savallo (1436) , Cascina Cea (1095), Torrente Tovere , Stecle (893), Croci (832), Lago di Bongi (631), Mura.
Il sentiero si snoda per circa 20 km, con 900 metri di dislivello complessivo, e richiede circa 5 ore e mezzo di cammino.
La sua titolazione ricorda i caduti di due formazioni partigiane, alla cui vita Mura contribuì attivamente con la partecipazione diretta di molti dei suoi abitanti, subendo, per questo, varie rappresaglie.
Difficolta’: 2 Api (e mezza visto la lunghezza dell’escursione)

Su facile sentiero, in salita, si arriva a Casina Nasego. La Casina, ridotta in macerie ma ora in parte ricostruita, fu data alle fiamme il 26 ottobre 1944 durante la caccia ai partigiani organizzata dalle Brigate Nere. Qui fu dato alle fiamme il corpo martoriato di Mario Donegani, che non aveva avuto la possibilità di lasciare prontamente la zona come era riuscito di fare ai suoi compagni. Sulla facciata della parte ricostruita della casina una targa ricorda il suo sacrificio.

Mario Donegani nasce a Brescia l’8 giugno del 1900 e fin dagli anni giovanili è un attivo militante antifascista di indubbia fede anarchica. Come si legge in una relazione di polizia del 1928: “Gode cattiva fama nel pubblico causa il suo carattere violento e la sua fede anarchica. Di intelligenza abbastanza sveglia, ha frequentato le scuole fino alla 5° elementare ed i primi corsi delle scuole complementari. Convive con la madre ed una sorella e si comporta bene verso di esse. Operaio laborioso ed attivo, non ha beni di fortuna e vive del suo lavoro. […] Fin dalla giovane età iniziò la lettura di giornali anarchici che acquistava presso la Tipografia Pezzotti in Corso Garibaldi a Brescia e successivamente, imbevuto di tali teorie divenne un lettore appassionato di opuscoli e stampe del genere […]”.
Da questo profilo biografico emerge un militante anarchico dotato di notevole curiosità intellettuale ma anche un antifascista che, in più occasioni, non esita a scontrarsi tanto con le squadre fasciste, quanto con la polizia. Nel novembre del 1920, ad esempio, viene denunciato insieme ad altri antifascisti per violenza privata, mentre il 29 maggio dell’anno successivo viene arrestato e denunciato per possesso illecito di armi. Come tanti antifascisti in quegli anni aderisce convintamente agli Arditi del popolo tanto che il 13 giugno del 1922 (quando quest’associazione antifascista risulta illegale già dall’estate dell’anno preedente) viene arrestato nei locali della Camera del lavoro sindacale, «mentre prendeva parte ad una riunione per la costituzione delle squadre degli arditi del popolo e denunziato all’Autorità giudiziaria per associazione a delinquere.»
Nel 1926 quindi, risulta schedato e tenuto sotto controllo dalla polizia insieme ad altri militanti anarchici bresciani come Angelo Bonizzoli, Ernesto Coddi e Luigi Mombelli. In questo periodo Mario Donegani risiede nel Carmine in via f.lli Bandiera, lavora come imbianchino e continua la sua azione antifascista tant’è che il 25 settembre viene arrestato per contravvenzione all’ammonizione. Questo arresto viene confermato dal pretore di Brescia che il 5 ottobre lo condanna a tre mesi di reclusione. Per questo motivo, la prefettura di Brescia con nota n.4151 del 30 settembre 1927 richiede ufficialmente che venga inviato al confino.
La richiesta della prefettura viene ufficializzata dalla Commissione provinciale di Brescia che assegna Mario Donegani al confino di Polizia sull’isola di Lipari per la durata di cinque anni per «avere commessi fatti diretti a contrastare ed ostacolare l’azione dello Stato tali da arrecare nocumento agli interessi Nazionali». La sua permanenza a Lipari, così come quella di Dall’Angelo a Ponza, è contraddistinta da arresti e denunce che si traducono in più occasioni in condanne a vari mesi di reclusione.
Nel gennaio del 1932 ad esempio rientra in un’indagine di polizia a livello nazionale su una raccolta di fondi organizzata dal comitato di soccorso anarchico di Parigi, che interessa molti anarchici italiani ed è finalizzata a onorare la memoria dell’anarchico Luigi Galleani scomparso il 4 novembre dell’anno precedente e a «elargire sussidi a confinati ed ex confinati».
Il 12 novembre dello stesso anno, in occasione del decennale della “rivoluzione fascista”, viene liberato dal confino e rimpatriato a Brescia. Al suo rientro si trasferisce presso l’appartamento della madre in via Guerrazzi 12, oggi contrada Pozzo dell’Olmo, nei pressi di via San Faustino e anche per lui scatta un’intensa vigilanza di polizia.
In questo periodo entra in contatto proprio con Arnaldo Dall’Angelo, con cui anni prima aveva condiviso la comune militanza negli Arditi del popolo e, secondo alcune fonti, aderisce al partito comunista. Verso la fine degli anni Trenta lavora come meccanico presso la fabbrica Metallurgica bresciana già Tempini e poi all’Om e si trasferisce in contrada del Mangano 14.
La sua biografia di antifascista mai pentito e il fatto che il suo nome è presente nell’ «elenco delle persone da arrestare in determinate contingenze in qualità, Categoria C» lo portano ad essere uno degli obiettivi della furia fascista nella notte tra il 12 e il 13 novembre 1943. A differenza di Arnaldo Dall’Angelo, Guglielmo Perinelli e Rolando Pezzagno riesce però a salvarsi per l’incuria dei fascisti che, dopo averlo ferito, lo credono morto e lo lasciano svenuto in piazza Rovetta. Fugge sul monte Maddalena, in località Ronchi, grazie all’intervento provvidenziale di Delfina Ruggeri che lo «accompagnò da sola in salvo, in un luogo sicuro in cui potesse essere curato, sostenendolo a fatica e usando tutte le sue forze […] attraversando tutta la città.» Tormentato dalla ferita al braccio, matura la decisione di affrontare il pericolo fascista e si reca in ospedale per farsi medicare. Giunto in ospedale viene arrestato e recluso presso il carcere di Canton Mombello e successivamente trasferito presso il campo di concentramento di Vallecrosia in provincia di Imperia. Da qui, dopo qualche mese, viene destinato ad un campo di concentramento in Germania, ma durante il trasferimento in treno, durante una sosta, riesce a fuggire.
Una volta rientrato a Brescia si rifugia in Valle Sabbia e dal 23 agosto del 1944 si aggrega ad un distaccamento della 122° brigata Garibaldi. Il 26 ottobre dello stesso anno, in seguito ad un un pesante rastrellamento nazifascista viene ferito gravemente e, una volta prigioniero, viene rinchiuso nel fienile della cascina «Cea» del monte Nasego nei pressi di Mura di Savallo in Valle Sabbia e bruciato vivo dai fascisti. Il suo corpo straziato verrà pietosamente trasportato a Mura in una gabbia portata, come emerge in una pubblicazione su Santina Damonti, sulle spalle da Felice Fiori. Una ricostruzione ufficiale della morte di Donegani è presente in un documento dell’ufficio Stralcio delle brigate Garibaldi del 26 marzo 1949:
[…] il Partigiano Donegani Mario fu Pilade cl. 1900 ha fatto parte della 122° Brig. Garibaldi dal 23/8/1944 al giorno 26/10/1944, data in cui venne trucidato in seguito ad un forte rastrellamento nazifascista in una cascina di montagna nel comune di Mura V.S. La salma del suddetto Partigiano venne sepolta nel Cimitero di Mura, fino alla liberazione per essere poi estratta e tumulata definitivamente nel Cimitero di Brescia.

Torniamo poi sui nostri passi fino a Cascina Cea, dalla quale ci si immette nella omonima Valle, attraverso una bella mulattiera, si giunge alla zona dove ha origine il torrente Tovere, che alimenta il laghetto di Bongi. Successivamente si perviene alla località Stecle, dove si erge una lapide in memoria di Raffaele Botti che, braccato in un agguato, fu trucidato il 19 ottobre 1944.

Raffaele Botti
Partigiano di Iseo. Primogenito di 6 fratelli. Da giovanissimo lavora come operaio alla “Caproni” di Iseo dove la Decima Mas testava i suoi siluri sommergibili. Qui, Raffaele Botti, come tanti proletari in quegli anni inizia a maturare una prima consapevolezza antifascista che emerge con forza l’8 settembre del 1944 quando, compiuti i 18 anni, viene chiamato dalla RSI al servizio di leva obbligatorio pena la deportazione in Germania. Ma, come tanti suoi compagni, sceglie la via della montagna. Frequenta inizialmente la vecchia osteria del Tesol, divenuta nel frattempo un punto di riferimento dei partigiani ed è qui probabilmente che entra in contatto con altri partigiani che operavano in quei luoghi con il compagno Verginella, nome di battaglia Alberto, che in quel momento comandava la 122° brigata Garibaldi. Raffaele Botti diviene un effettivo proprio di questa divisione partigiana. Arriviamo così nel mese di ottobre, quando i luoghi, oggetto dell’escursione, sono teatro di imponenti rastrellamenti nazifascisti: in particolare il rastrellamento alle sedi garibaldine di Mura del 15 ottobre determina lo spostamento del distaccamento di Raffaele Botti che, di ritorno da una missione di portaordini da Ombriano di Marmentino e, dopo essersi fermato presso l’abitazione della staffetta partigiana Rosa Borghetti, nome di battaglia Topolino, nella giornata del 19 ottobre viene sorpreso dai nazifascisti. Dopo averlo ferito gravemente ad una spalla, lo catturano presso il valico che scende a Noffo e da qui, come testimoniato proprio da Rosa Borghetti, viene trascinato a forza lungo i sentieri del bosco fino ad una cascina molto appartata in località Stecle dove viene fucilato.

Marco Ugolini storico dell’Anpi ha curato le schede dei due partigiani a cui è dedicato il sentiero 

Due note sul progetto anfibi al Lago di Bongi di Christiana Soccini.

Il Lago di Bongi è un piccolo bacino artificiale, generato per la realizzazione di una diga ENEL con scopi idroelettrici. In esso affluiscono i torrenti Tovere, Cea, Fusio. L’invaso si colloca in un contesto boschivo di grande naturalità.
La strada costeggia il lago solo da un versante, per una lunghezza di 1,1 km circa. È qui che avvengono gli investimenti degli anfibi riproduttori. Dal censimento effettuato è risultato il ritrovamento di circa 350 Bufo bufo e alcune Salamandra salamandra, la salamandra pezzata, uccisi dal traffico stradale.
Questa popolazione di rospo comune potrebbe essere costituita da almeno 3500 esemplari riproduttori.
Queste due specie, insieme agli altri anfibi presenti in regione Lombardia, sono nominativamente protette dalla Legge Regionale n. 10 del 2008 (ex L.R. 33/77).
A fine febbraio, gli anfibi in discesa dal monte circostante, la Corna di Savallo, si portano verso il lago per riprodursi. Per raggiungere il punto d’acqua, molti di loro sono costretti ad attraversare la carreggiata dove vengono investiti dal traffico veicolare. Lo stesso avviene con i rospi in risalita dopo gli accoppiamenti e la deposizione delle uova, nonché con i piccoli anfibi neometamorfosati che dall’acqua si disperdono verso i territori circostanti. Tali uccisioni significano una grave perdita soprattutto dei riproduttori, con una lenta ma grave riduzione costante della popolazione.
È questa la situazione che capillarmente ha causato ovunque la scomparsa di questi animali, un tempo diffusi con grandi popolazioni in ogni luogo che vedesse presenza d’acqua superficiale stabile o temporanea. Le strade, inoltre, sono barriere ecologiche anche perché allontanano e frammentano le popolazioni, isolando gli individui, portando ad impoverimento genetico, alla riduzione della capacità di resilienza e resistenza ai patogeni e portando così le popolazioni al collasso. Inoltre, in questo caso, la struttura della diga presenta cassoni di sostegno con presenza di stillicidio d’acqua che attira gli anfibi, i quali vi cadono all’interno rimanendovi intrappolati fino alla morte.
Per risolvere definitivamente questa situazione si è agito dal 2017, con l’intervento sul Comune e sulla Comunità Montana di Valle Sabbia da parte della Commissione Conservazione della Societas Herpetologica Italica, posizionando barriere temporanee anti-attraversamento (le barriere fisse non sono state accettate dai proprietari), la messa in sicurezza dei cassoni trappola e il posizionamento di segnaletica stradale di avviso “attraversamento anfibi”.
Contestualmente, la Commissione Conservazione ha approvato l’istituzione dell’Area di Rilevanza Erpetologica a valenza regionale “A.R.E.R. Lago di Bongi”.

Sempre più in alto
per una nuova umanità!

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