Di ritorno dal Monte Rotondo
6 e zerozero di domenica mattina. 28 maggio.Tra un mese il mio compleanno. Risveglio durissimo a causa di sogni amari e troppo bui. Sciacqua, salta, sfila. Più di 100 km in vista e più di 1000 mt di dislivello: questa mostruosa forza finesettimanale prende vita solamente grazie a due pensieri: l’alta quota e un’ignota banda apeina tutta da scoprire. Sputa, infila, allaccia e via. La strada è libera. Sette e zerozero: non c’è quasi un’ombra in giro.
Cinque scatolette autonome sfrecciano nella stessa direzione dalla bella Milano e dalla brutta Brianza. Ingranano e sudano per l’appuntamento di ricognizione delle 9. Parcheggio di Laveggiolo: mi raccomando, al penultimo tornante, non all’ultimo! Forse per sete di verde, due auto si spingono comunque al tornante alto; per fortuna, quella mezza tacca di segnale permette la ricezione di una chiamata alle armi. Ci si ricongiunge in un men che non si dica. Ore nove, i piedi nelle scarpe e i cuori in alto: che le danze abbiano inizio.
Un primo gruppo in testa si distacca, sbeffeggiante. Neanche passano cinque minuti e l’arbitro fischia. Questi montanari indisciplinati procedevano alla cieca lungo il percorso senza aver studiato la traccia e le sue deviazioni. Ma non solo… Oltre a queste lacune, hanno ancora gli occhi chiusi dal sonno: a un palmo dai loro nasi, dipinto su un sassone, in grande e a bei caratteri rossi troneggia la scritta “MONTE ROTONDO”, con annessa freccia a destra.
Richiamati all’ordine, i montanari veloci ma distratti imparano la lezione (per poco) e rimangono in coda. A suon di bacchette, scarponi e primi timidi chiacchiericci, ci si addentra sempre più in un bel bosco di conifere.
Man mano che si sgambetta, la timidezza si rompe e, così, le chiacchiere si intrecciano, si arrotolano e iniziano a rimbalzare da un capo all’altro del gregge come gomitoli colorati.
Proprio come le chiacchiere che si aprono, si sfilacciano e si richiudono, sulle nostre teste sgomitano nuvoloni di tutte le dimensioni e dai colori meno promettenti. Incrociamo le dita sperando che abbaino senza mordere; procediamo così nel cammino con i primi dubbi sul da farsi nel futuro prossimo della nostra escursione. Attraversiamo il torrente Pai, finalmente ben nutrito, e ci lasciamo sempre più alle spalle auto, parcheggio e strada.
Prima tappa meritata: Alpe Stavello, con tanto di acqua fresca. Continuiamo a scrutare la cortina sopra di noi e decidiamo di non demordere, di tentare la nostra via al Signor Monte Rotondo. Ormai fuori dal bosco, proseguiamo sempre più compatti verso i primi zigzag a vista.
La meta che fa sospingere il passo è la Bocchetta di Stavello, il valico che precede l’ultima ascesa. Tra sbuffi e chiacchiere incredibili, spremiamo tutte le calorie residue dalla banana della prima tappa. E svalichiamo: Rotondo in vista, panorama sulle due valli ai nostri piedi. L’azzurro del cielo spazza via tutto il grigio, così un distaccamento di coraggiosi si fa forza verso la cima tanto agognata, mentre un altro gruppo fa da vedetta sulla forcella, fantasticando su cosa succedeva cent’anni fa lungo la Frontiera Nord, detta anche Linea Cadorna.
I due sciami, quindi, entrambi rigorosamente muniti di bandiera, si separano momentaneamente con la promessa di aggiornarsi per radio e, soprattutto, di pranzare insieme. Il cordone che sale procede in fila indiana, sempre più impaziente di raggiungere la rotondità massima della cima.
A quasi 2500 mt sul mare possiamo goderci il panorama con vista valli, neve, sterpi e boschi. Orgogliosi della vetta raggiunta e con la benevolenza dalla statua della Madonna nera, ci concediamo un pre-pranzo giusto per avere le energie sufficienti a raggiungere gli altri più sotto; voliamo in un battibaleno alla forcella. Finalmente riuniti, brindiamo con una birra in venti e azzanniamo panini, insalate e schiscette varie.
Dopo scatti e autoscatti brutti con lo stendardo giallo, ci avviamo mesti verso il basso tirati in giù dalla forza di gravità e ri-attratti in su dalla voglia di non andarsene più.
La formazione dello sciame si ribalta completamente: le api aprifila si trasformano in chiudifila e viceversa. Per fortuna siamo uno sciame numeroso, così la discesa trascorre leggera tra una svolazzata e l’altra e chiacchiere amiche.
Giungiamo dunque alla fine, ma le sorprese non mancano. Un’ape canterina si stacca e chiede l’attenzione a tutte le altre: anche per chi ha più fretta, sarà una chicca unica di soli 12 minuti. E che dire, signori? Altro che panna sul gelato! Quest’ape generosa regala al resto dello sciame un intermezzo teatrale a dir poco inaspettato. Il bosco fa da sfondo, gli aghi di pino da palco morbido. E così, tra personaggi fiabeschi, giochi di rime e voci ben limate, le Metamorfosi di Ovidio prendono vita sotto gli occhi increduli dell’alveare.
Grazie api per questa sciamata collettiva!
Annachiara, per APE Milano
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