Di ritorno dal Monte Pravello
Sabato mattina, una sveglia piuttosto dolce scandisce il giorno nuovo. Sono le 7 quando un paio di messaggi uozzap incoraggiano l’umore apeino: dovrebbe piovere, ma poco e solo nel pomeriggio.
L’orologio segna le 8.15 e una voce metallica richiama all’attenzione una quindicina di api presso la stazione di Milano Garibaldi. Il suono aspro è diluito da un leggero gocciolare di pioggia e un’ape ritardataria (la sottoscritta…) sale al volo sul treno, direzione Porto Ceresio.
Le chiacchiere ovattate accompagnano qualche nuovo tesseramento, c’è chi dorme nonostante la luce che filtra oltre la bruma e chi controlla che nello zaino ci sia tutto, soprattutto il kway e il coprizaino.
Alle 9.45 scendiamo saltellanti dal treno, a Porto Ceresio, metodo collaudato sia per contrastare il freddo che si aggrappa alle guance che per accrescere l’entusiasmo.
Ci incontriamo con un paio di api presso la stazione, piccola sosta caffè e siamo prontə a partire.
Costeggiamo il lungolago della cittadina, un ultimo lembo della provincia varesina proteso verso la Svizzera. L’ambiente, complice il silenzio mattutino e la foschia circostante, sembra quasi sospeso sull’acqua: orli di piante, statue guardiane di piccoli giardini e imbarcazioni legnose puntellano questo breve tragitto di strada asfaltata fino all’inizio del sentiero.
Ci accingiamo a percorrere una strada stretta e un poco ripida, dove il ciottolato si mescola al fogliame umido, dono dei numerosi agrifogli e castagni circostanti.
Un piccolo tratto di bosco e siamo presso la frazione di Ca’ del Monte: la salita sveglia e riscalda il corpo che a turno si sveste e si spoglia e, alleggerito dei tanti strati, imbocca la mulattiera. Percorriamo il sentiero che vira sulla destra fino a che non scendiamo piano verso il Monte Casolo e il Monte Pravello.
Lo spiazzo che precede la salita ci immerge ancora più profondamente nell’area boschiva tra alberi di faggi, castagni e roverelle. Qualche ape tira fuori il kway, alcune cambiano equipaggiamento: la pioggerella attesa per il pomeriggio ha anticipato la sua caduta e la bruma sottile si allarga tra i rami e oltre le nostre teste.
La pioggia scende lenta e piacevole e accresce la voglia di camminare insieme.
Il sentiero rinuncia all’impervietà iniziale e con una strada pianeggiante tra noccioli e faggi ci troviamo davanti la prima segnalazione della Linea Cadorna.
Le api curiose condividono qualche aneddoto storico, ci si ferma a leggere le informazioni riportate sul cartello, qualcuno corre con la mente a ciò che si è letto e studiato negli anni precedenti: la Frontiera Nord è stata costruita tra la fine dell’800 e il 1918, voluta fortemente dal generale Cadorna per difendere il confine italo-svizzero dalle truppe austro-ungariche durante il primo conflitto mondiale.
Sono i residui bellici di battaglie mai combattute su queste montagne, fortificazioni e gallerie che solcano la terra di un confine inviolato.
Per alcuni tratti i residui degli insediamenti militari sono i protagonisti dei sentieri boschivi, manufatti della Grande Guerra e di una memoria storica che ha le fattezze di un abisso doloroso.
La pioggia ora scende fitta ma le api non mollano il passo, è quasi ora di rifocillarsi e l’ultimo tratto in salita trascorre in fretta e annuncia fragili e candidi fiocchi di neve.
Siamo nei pressi della cima, la fame è tanta e cerchiamo riparo dal freddo e dalla tenera neve sotto le gallerie belliche. Si gozzoviglia in fretta, qualche ape condivide tazze di acqua calda e morsi di focaccia. Non ci fermiamo a lungo, il calore accumulato evapora veloce e le mani sono le prime a farsi fredde. Ci sistemiamo alla bell’e meglio fuori dalla galleria, un selfie che sembra un autoscatto ci ritrae felici e bagnatə mentre sosteniamo la bandiera apeina e pronunciamo “pravellooooo” quasi in coro.
Scendiamo con passo accorto visto il terreno scivoloso. Si apre sotto di noi uno spiazzo con quella che, al cospetto del sole e in assenza di bruma, dovrebbe configurarsi come “terrazza panoramica”.
Un’ape gagliarda, indicando l’apertura verso la Valceresio esclama “Qui avremmo potuto mangiare comodi sui tavoli, e vedere il Lago di Lugano e le magnifiche vette che lo circondano!”. Ci scattiamo qualche foto, immersi nella nebbia delle nostre risate e proseguiamo la discesa.
Prendiamo il sentiero con destinazione Viggiú, sul versante opposto della montagna; l’orario favorevole ci permette di visitare un’ulteriore galleria, che aveva la funzione di appostamento al Monte Orsa. Indossate le frontaline, attraversiamo il sito storico, in cui appaiono residui bellici come se fossero fantasmi, illuminati dalle feritoie poste ai lati del tunnel.
Appena uscitə scendiamo lungo il sentiero; dopo qualche principio di ruzzolo per via delle pietre scintillanti, il bosco ci accompagna fino ad una strada carrozzabile. Siamo quasi arrivatə alla fine della giornata ma decidiamo di fermarci in paese per bere qualcosa di caldo e godere di un po’ di tepore.
Qualche tè e cioccolata calda dopo riprendiamo la strada verso la stazione, appena in tempo per salire sul treno di ritorno a Milano.
Sul treno ci si saluta e un bzzz apeino ricorda gli appuntamenti prossimi, la salita sul Monte Venturosa del 17 dicembre e la risottata del 22 a Piano Terra, prima di rotolare tra le feste comandate.
Giulia per APE Milano
“Anche se dovessimo spegnerlo nel mare
questo fuoco brucerà per sempre:
emette luce nell’oscurità.
Brucia”
Bejan Matur, poetessa curda
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