Di ritorno dall’alta Val Gerola
L’8 e il 9 luglio 2023 siamo stati in Val Gerola per una ingaggiante due giorni in paesaggi e contesti straordinari e poco battuti. Ecco il racconto a cura di Annachiara per APE Milano. Buona lettura.
Pronti a seguirci per un’altra 3 Api? Vi avviso, questa volta è bella dura. Tanti saliscendi, dislivelli e caldo, per quasi 4000 metri complessivi e 25 km totali, spalmati come burro freddo su un bel week-end estivo. Tranquilli, prometto non solo fatiche, ma anche tante ricompense ed emozioni. Preparate zaino, crema protettiva, occhiali da sole o da lettura e… via!
Il ritrovo è a Pescegallo, ultimo paesino montano della Val Gerola. Dato il nome curioso, faccio una mini ricerca da cui scopro che pesc significa abete in valtellinese. Pescegallo, quindi, è un riferimento al gallo cedrone, animale ghiotto degli aghi di questo sempreverde.
Alle ore dieci e un quarto spaccate, in un gruppetto di solidi e compatti, partiamo dal nostro punto di ritrovo guidati da aprifila lanciatissimi e protetti da chiudifila attenti; ci inerpichiamo, quindi, tra le prime scorciatoie per schivare la seggiovia e attraversiamo ampi pascoli e nugoli di ginepri rosa. Niente boschi per noi, ma, per fortuna, le nuvole preservano teste ed energie dalle temperature esorbitanti. Cambiamo palette di colori e dal rosa passiamo al giallo di fiori vari e non meglio identificabili dalle nostre scarse conoscenze botaniche. In poco tempo, ci lasciamo alle spalle anche il verde dei prati e iniziamo a rampegare verso l’alto, risalendo un canalone che ci fa provare un primo brio avventuroso. Una volta sbucati fuori, delle testoline con musetto fanno capolino sul rilievo di fronte a noi. Ci interroghiamo a lungo sulla natura di codesti esseri. Saranno capre? Cartonati? O ungulati?
Escludiamo le prime due opzioni e, senza cozzare né acquietarci sul dilemma stambecco-camoscio-capriolo, ci rimettiamo in cammino. Riusciamo a lamentarci di quanti milanesi e brianzoli animino la Val Gerola in un casuale sabato estivo finché ci rendiamo conto di non essere particolarmente speciali… Continuiamo così a testa bassa finché raggiungiamo il rifugio Benigni immersi in una coltre bianca che ci impedisce di sapere cosa ci sia intorno a noi. Sui tavolini in legno, finalmente, possiamo iniziare a sfoggiare le schiscette più elaborate, stravaganti o gourmet che si siano mai viste. Dopo aver allungato il collo sulle prelibatezze altrui, ripartiamo verso l’alto con l’illusione di viaggiare più leggeri. Al contempo, però, inizia ad alleggerirsi il cuore, sempre più lontano dall’incessare della vita in città. Così, si comincia anche a respirare meglio, godersi il suono del proprio fiato e la fatica sulle gambe, mentre il verde intorno si fa sempre più silenzioso.
Percorriamo un’ampia vallata in pietraia facendoci distrarre da altri ungulati a distanza ravvicinata finché arriviamo allo splendido, smeraldino Lago Rotondo. Qualche impavido si lancia in acqua per un bagnetto rigenerante e rinfrescante.
Dopo un po’ di relax e consci che il rifugio FALC freme per il nostro arrivo, riprendiamo il nostro cammino, questa volta interrogandoci su come siano arrivati dei pesci a un laghetto tanto in alto. Speculando sulle congetture più azzardate, raggiungiamo la bocchetta dell’Inferno, da cui sembra di avere le montagne in mano. Per l’ennesima volta, degli ungulati accompagnano i nostri passi, mentre noi li scrutiamo increduli e attoniti senza riuscire davvero a capire cosa ci vogliano dire. Ma ecco che un puntino rosa appare sul fondo. Non è un miraggio, è proprio il nostro rifugio! Postilla curiosa che scopro solo a posteriori: FALC è un acronimo e sta per Ferant Alpes Laetitia Cordibus, ovvero “Arrechino le Alpi gioia ai cuori”. Quale miglior augurio per chi è di passaggio su questa valle? E quanta verità in queste parole?
Procediamo, così, costeggiando il lago dell’Inferno e, finalmente, mettendo piede in quello che sarà il nostro nido per la nottata. A 2120 mt slm, il rifugio FALC è una vera chicca incastonata tra le rocce: con la sua bibliotechina in quota, i gerani al davanzale e la musica di sottofondo, lascia quasi a bocca aperta. C’è un fascino inspiegabile nel vederlo vivere e pulsare grazie al lavoro di quattro giovani donne che se ne prendono cura con tanta dolcezza e attenzione.
Ci togliamo calze e scarponi ed è subito relax. Così, tra chiacchiere, birrette e aperitivi improvvisati giunge in quattro e quattr’otto l’ora di cena. Più compatti di un gregge di capre testarde, ci spremiamo gli uni contro gli altri pur di mangiare allo stesso tavolo. Ci viene servita una cena semplice, ma deliziosa, preparata con ingredienti genuini e locali. Una volta riempiti gli stomaci, ci sparpagliamo come serpenti per contemplare il tramonto in fiamme, chiacchierare con gli altri ospiti e fare qualche giretto con le luci del crepuscolo fino al brillare delle stelle.
Dopo una notte tranquilla, ci alziamo per fare colazione, già proiettati verso il Pizzo Tre Signori, a quota 2554 mt slm. Procediamo su pietraia e roccioni molto agevoli sotto un bel Sole mattutino. Percorriamo gli ultimi tratti e arriviamo in cima. Letteralmente baciati dalla fortuna per la limpidezza del cielo, ci intratteniamo un po’ a contemplare tutte le cime e le catene che si srotolano davanti ai nostri occhi. Dopo le foto rituali, un po’ a malincuore alla prospettiva di essere già in procinto di chiudere l’anello, riprendiamo la strada verso il rifugio. Nonostante la stanchezza e il “Sole a catinelle”, riscendiamo il pendio del Tre Signori con la leggerezza di ungulati esperti.
Raggiungiamo in fretta il rifugio e, dopo gli ultimi caffè e saluti affettuosi, riprendiamo la marcia verso i laghi Trona e Zancone. Una volta raggiunto quest’ultimo, ci concediamo una signora pausa pranzo con nuotatina annessa tra pesciolini, isolotti magici e pozze con idromassaggi naturali.
Sempre più a malincuore, sospinti dalla preoccupazione per il traffico del rientro, ci rimettiamo gli scarponi e scendiamo fino a valle con gli occhi ancora incollati alle catene montuose che si stagliano ancora davanti a noi.
Alle ore 15:00 siamo già tutti in macchina, boccheggianti dal caldo. Ma non è finita qui! Per premiare tutte le fatiche, sostiamo al “Centro del Bitto Storico Ribelle” di Gerola Alta per qualche tagliere di formaggio tipico e un breve tour tra le forme di questo formaggio unico e speciale nella sua produzione e resistenza.
Grazie per aver tenuto le nostre tracce e per aver camminato con noi col cuore o con l’immaginazione!
Annachiara
Traccia del percorso:
anello laghi val gerola, ape milano, val gerola