Di ritorno dal cammino partigiano a Sabbiuno.
E’ domenica 18 aprile e per ricordare la liberazione di Bologna abbiamo deciso di salire dal centro città al monumento di Monte Sabbiuno: il cippo che denuncia l’eccidio antifascista del dicembre 1944, costruito nel 1973 sul crinale tra Reno e Savena lungo il confine che separa il comune di Bologna da quello di Sasso Marconi.
La lenta partenza
L’appuntamento è alle 9.30 all’edicola di via San Mamolo; le prenotazioni superano le 45 persone ma, mentre si avvicina l’orario di partenza, iniziano ad arrivare alcuni sms di defezione e altri di ritardo. Il primo gruppo parte, il secondo aspetterà una mezz’oretta per prendere l’ultimo caffè, aspettare i ritardatari e permettere di creare un distanziamento sufficiente da quello di testa.
Il cielo è nuvoloso a tratti e la temperatura è piacevole. La salita da villa Ghigi all’eremo di Ronzano ci fa togliere i primi strati della classica vestizione a cipolla. Siamo sul sentiero CAI 904 e all’altezza della chiesa di San Michele di Gaibola, alcune affezionate salutano il ribattezzato gallo Placido Domingo.
Risalendo, “invisibili”
Pattuglie della polizia girano sulle strade tortuose dei colli in cerca di assembramenti. Noi continuiamo a seguire il nostro percorso, sembriamo non interessargli: meglio così. A Monte Paderno l’intero gruppo si ricongiunge e imbocca il CAI 920, passando i meravigliosi calanchi di Gaibola per giungere a parco Cavaioni.
Il sole e il prato verde brillante sono tentatori: stiamo per cedere allo svacco, ma la notizia che la baracchina della birra è aperta fa proseguire il gruppo. E così, in base al grado di secchezza delle fauci, ci ridividiamo in piccoli gruppi e inziamo a salire verso il memoriale di Sabbiuno, seguendo la strada asfaltata. Lungo il percorso raccogliamo germogli di luppolo, foglie di senape, agli selvatici, ciuffi di silene e alcuni asparagi.
Il monumento di Sabbiuno
All’ultima curva del percorso si apre una visuale impressionante sul calanco di Sabbiuno e riconosciamo distintamente le rupi dove i partigiani furono fucilati e la zona a valle, segnalata da una croce bianca, in cui furono trovati i loro corpi. Camminiamo sugli stessi passi che molti anni prima i prigionieri politici furono costretti a percorrere sotto la neve. Il tempo cambia, si fa più nuvoloso, allineandosi al nostro umore, mutato alla vista di quel truce panorama.
Le previsioni minacciano pioggia e così decidiamo di mangiare al volo nel parco pubblico di fronte al memoriale, affacciato sugli erosi calanchi di Pieve del Pino. Il vento si alza all’improvviso, le virghe piovose ci circondano. I più fiduciosi cercano di convincere gli altri che l’acquazzone ci passerà accanto e saremo salvati. La tecnologia incarnata dal satellite della protezione civile non è altrettanto ottimista e di lì a poco ci bagneremo, ma non per molto.
Visitiamo il memoriale sotto la pioggia, camminando lungo il sentiero scandito dalle pietre irregolari. Ciascuna di queste porta inciso il nome di ognuno degli antifascisti fucilati di cui furono recuperati i corpi. L’ultima pietra nomina 47 sconosciuti, portando il conto delle vittime dell’eccidio ad un simbolico numero cento. Infine, un muro di mitragliatrici segna il luogo esatto in cui i partigiani furono uccisi e fatti cadere nel dirupo. Ci ripariamo sotto l’entrata della mostra fotografica partigiana (chiusa causa covid) e indossati i k-way decidiamo di ripartire. Dopo circa 10 minuti il sole spunta nuovamente; in poco tempo ci asciuga e ci riscalda.
Il cartello non ci ferma
Arrivati a Parco Cavaioni, costeggiamo il versante del Reno e scendiamo verso la città sulla strada asfaltata di via di Casaglia. All’altezza dell’osteria del Nonno deviamo per il sentiero sulla sinistra che ci farà attraversare Monte Grana e giungere al ricco abitato di Montalbano, evitando così la strada asfaltata.
Il cartello all’imbocco della stradina ci avvisa di un pericolo di morte. Non capiamo precisamente di cosa si tratti, visto che ci troviamo tra boschetti, prati e campi. Sospettiamo che sia un modo “creativo” di comunicarci che non siamo persone benvenute. Proseguiamo, aggirando altri divieti di accesso ad aree private, villette, telecamere e ritorniamo sulla strada asfaltata. Davanti a noi, un poco distante, vediamo la chiesa di Santa Maria Assunta di Casaglia. Dopo alcuni metri svoltiamo a destra lungo il CAI 914 passando per il Parco del San Pellegrino e infine giungiamo a quello di Villa Spada.
Portici e birra
Dopo più di 20 km ritorniamo in città. Alcuni decidono di tornare a riprendere i mezzi lasciati a Villa Ghigi lungo il porticato di via Saragozza, ricercando la consueta birretta di fine percorso; altri, ancora vogliosi di verde e di colli, imboccano via del Genio che con l’ultimo su e giù li ricongiungerà, dall’alto, a Villa Ghigi.
Siamo felici di esserci rivisti, di essere tornati a camminare insieme dopo circa due mesi di pausa forzata e di averlo fatto ricordando chi ha lottato per la nostra libertà.
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