Tra paure e speculazioni, la ricomparsa del lupo sulle Orobie

Nella mattinata del 06/12 è apparsa sul sito di un noto quotidiano online della provincia la notizia che “sindaci, allevatori e cittadini” delle valli bergamasche hanno scritto una lettera al Prefetto manifestando le proprie paure e preoccupazioni riguardo la ricomparsa del lupo sulle Orobie.

In attesa di leggere la lettera vera e propria, ci limitiamo a commentare l’articolo stesso e alcune citazioni virgolettate in esso riportate.

Premettiamo che comprendiamo le preoccupazioni di cittadini/e, allevatori e allevatrici che vivono quotidianamente le terre alte e che, sempre più frequentemente, si trovano a dover fronteggiare, spesso senza il sostegno delle istituzioni, problemi portati alla luce dalla ricomparsa dei grandi carnivori sui nostri territori. 

Se da un lato capiamo le paure degli abitanti della montagna, dall’altro non riteniamo accettabile le rimostranze e la narrazione portata avanti da alcuni amministratori locali e dagli enti pubblici coinvolti.
Nell’articolo si trova scritto “La reintroduzione dei grandi carnivori è solo l’ultimo dei problemi, ma è quello che ha fatto traboccare il vaso”.  Peccato che nessun grande carnivoro sia stato reintrodotto sulle Orobie. Gli animali si spostano autonomamente a seconda dei cambiamenti e della disponibilità di cibo ma nessun esemplare di orso o lince si è stabilito in questi anni nella provincia di Bergamo, al più si è assistito a qualche passaggio sporadico. Il lupo, invece, com’era facilmente prevedibile da parecchi anni, è arrivato spontaneamente sulle Alpi centrali, ultimo dei territori che ha visto la ricomparsa di questa specie. 
La frase sopra menzionata, nelle migliori delle ipotesi, dimostra la poca credibilità e autorevolezza in materia delle istituzioni che l’hanno pronunciata; nella peggiore delle ipotesi, invece, mostrerebbe come gli enti locali coinvolti alimentino la paura e la disinformazione su un tema delicato e spinoso.
Come abbiamo precedentemente accennato, la riespansione dell’areale del lupo sulle Alpi è cosa nota da tempo, non proprio una novità degli ultimi mesi, basti pensare che già dagli anni ’90 il lupo era tornato a ripopolare le zone alpine del cuneese per poi espandersi nel resto del Piemonte. In tutto questo tempo, le istituzioni cosa hanno fatto?
Circa 3 anni fa come APE avevamo organizzato un incontro a Bergamo in cui parlare di questo tema, consapevoli che nel giro di poco tempo il lupo avrebbe fatto capolino sulle Orobie, portando a galla tutta una serie di problemi sul rapporto uomo-natura. All’incontro erano presenti relatori autorevoli per affrontare la questione sotto diversi punti di vista. Consapevoli della necessità di coinvolgere chi amministra i territori, avevamo invitato enti pubblici come le varie comunità montane, senza ottenere alcuna risposta in cambio.

Sempre dal sito si legge “Si parla tanto di convivenza tra uomo e lupo, ma parlarne a tavolino in città non è certo come affrontarlo sul territorio e sugli alpeggi dove il bestiame dovrebbe pascolare liberamente e invece deve essere rinchiuso nelle stalle per timore che venga predato”.
Ci chiediamo dove stia scritto che il bestiame “debba” stare libero al pascolo, considerando che i territori e la preziosa biodiversità che li caratterizza sono i veri soggetti che devono essere tutelati, comprendendo anche la fauna di grandi dimensioni e, di conseguenza, i grandi carnivori che hanno un ruolo importante per tutta la catena alimentare. Questo non vuol dire che non bisogna curarsi delle mandrie di bestiame, che vanno tutelate, così come gli allevatori, ma di fronte a problemi e sfide complesse, le suggestioni più semplici come l’eliminazione dei grandi predatori sono pure illusioni e non rappresentano reali soluzioni. Pensiamo infatti che a questioni complesse occorrano risposte consapevoli e specifiche per il territorio, che cerchino di tutelare tutti gli attori in gioco e non diventino grimaldello di populismi o visioni divisive tra persone e natura.

Senza andare troppo lontano, volgendo lo sguardo in alcune zone del cuneese o degli appennini, ci si può rendere conto di come la ricomparsa del lupo, dopo un primo momento di tensioni e palesamento di problemi, ha rappresentato un’opportunità per riconsiderare il complicato rapporto tra uomo e natura. A volte, addirittura, ha rappresentato un’occasione per dare impulso alle economie locali e aprire nuovi spunti per un turismo più sostenibile.
Si guardi per esempio ciò che è avvenuto in Val Gesso con il “Centro uomini e lupi”. 

Infine, lanciando una provocazione, ci facciamo un’ultima domanda. Nell’articolo viene riportata la lamentela dei firmatari della lettera nei confronti degli organi statali per la mancanza di adeguati fondi, sia per il risarcimento delle predazioni che, più in generale, per risorse essenziali per le piccole comunità di montagna. 
50 e rotti milioni di euro di fondi pubblici non rappresenterebbero un’opportunità per affrontare seriamente tutte queste problematiche, al posto di essere spesi per forare montagne, costruire impianti senza futuro e distruggere ulteriormente territori e comunità?

lupo, orobie

Quale montagna vuoi? Il caso Colere-Lizzola

“Quale montagna vuoi?” Hanno provato a dare una risposta a questa domanda complessa, ma soprattutto a stimolare un dibattito e delle riflessioni, i relatori dell’incontro di giovedì 28 novembre tenutosi a Clusone, organizzato da Terre Alt(r)e e Orobie Vive. Un incontro partecipato, con più di 250 persone in sala al centro del quale c’è il progetto di nuovi impianti di risalita e collegamento tra Colere e Lizzola, Val Seriana.

Le parole chiave della serata sono: dibattito ampio, partecipazione collettiva, analisi dei dati e visione realistica del futuro della montagna.

Ripensare il futuro delle Alpi a quote medio-basse

Il primo intervento è stato di Agnese Moroni. La ricercatrice di Beyond Snow e Eurac Research ha presentato il progetto che li vede coinvolti nel tentativo di ripensare il futuro di alcune località alpine europee che si trovano a quote medio-basse e che, di conseguenza, non sono più nelle condizioni di vincolarsi unicamente al turismo invernale a causa del cambiamento climatico e dell’insostenibilità economica di tale pratica. Ciò che è emerso chiaramente è che le comunità montane, prima di progettare il proprio futuro, debbano conoscere il loro passato, riflettere sul presente e individuare quali siano i bisogni di una comunità, attraverso un processo partecipativo allargato che veda i cittadini come protagonisti. Una volta terminata questa prima parte di ricerca e analisi, il focus passa sul cosa si vuole fare per il futuro territorio a partire dalle necessità di chi abita e frequenta abitualmente questi ambienti. La scelta di investire in un determinato settore, sottende la necessità di implementare tutta una serie di servizi che rendano possibile svolgere le varie attività e che rendano il territorio più vivibile.
L’obiettivo è la transizione delle destinazioni turistiche alpine: né rivoluzione né trasformazione.

Un progetto insostenibile: il caso Colere-Lizzola

A seguire, il microfono è passato nelle mani di Angelo Borroni, ingegnere e docente universitario, membro di Orobie Vive. Attraverso un’attenta analisi dei documenti ad oggi disponibili, si è entrati nel merito del progetto “Comprensorio Colere-Lizzola”. In sostanza il progetto si presenta come un’opera insostenibile su più fronti, che al netto delle dichiarazioni rilasciate da RSI, avrà un impatto negativo sul territorio in termini ambientali, sociali ed economici. Si parla di un’opera che, secondo i progettisti, costerà 70 milioni, di cui 50 pubblici, anche se le cifre reali  sono già in incremento, e sembra già in partenza anacronistica rispetto ai tempi che corrono, considerando che è sempre più chiaro, dati alla mano, che  il turismo invernale sciistico non avrà più di 15 anni di futuro a certe quote.

Per chi volesse un decalogo delle maggiori criticità del progetto, è disponibile a questo link: terrealtre.noblogs.org/comprensorio-colerelizzola/manifesto

Il turismo come rischio per le comunità montane

E’ stata poi la volta di Lucio Toninelli, abitante di Vilminore di Scalve e consigliere di minoranza del comune in cui risiede. Partendo dalla domanda “Ma ne abbiamo davvero bisogno?”, ha fatto una riflessione su come nei territori dove si è puntato unicamente sul turismo, in particolare sul turismo legato allo sci di discesa, i processi di spopolamento e disgregazione delle comunità sono stati più marcati e veloci che altrove. Dando per assodato che la fuga verso le città da parte degli abitanti di montagna è difficile da tamponare e ragionando sul caso specifico della valle di Scalve, dove “lavoro ce n’è” e le industrie lì presenti faticano a trovare manodopera, Toninelli ha raggiunto la conclusione che gli investimenti in grandi comprensori sciistici e in un turismo mordi e fuggi, non portano ricchezza ma rischiano di indebolire le economie locali, alzando i prezzi e il costo della vita. Piuttosto che questo tipo di opere, ha concluso, ciò di cui avremmo bisogno sarebbero una serie di interventi per implementare servizi e rendere i luoghi montani più “vivibili” per chi fa parte delle comunità.

Quale futuro per le montagne?

A chiudere gli interventi dal palco è stato Luca Rota, blogger e conoscitore delle dinamiche montane, che ha messo in luce le criticità degli investimenti in impianti di risalita al giorno d’oggi, soffermandosi sugli aspetti economici e sociali, stimolando i presenti a riflettere su quale sia la loro idea di montagna, di territorio in cui abitano e come se lo immaginano nel futuro.


La montagna non si arrende: appello per una mobilitazione nazionale diffusa

9 febbraio 2025 – A un anno dalle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026

Le terre alte bruciano. Non è una metafora. Lo zero termico a 4200 metri in pieno inverno, i ghiacciai che si sfaldano, il permafrost che si scioglie, le alluvioni devastanti sono la realtà quotidiana delle nostre montagne. Una realtà che stride con l’ostinazione di chi, dalle Alpi agli Appennini, continua a proporre un modello di sviluppo anacronistico e predatorio, basato su pratiche estrattive e grandi-eventi come i giochi invernali. La monocoltura turistica sottrae risorse economiche pubbliche a beneficio di pochi, a scapito di modelli plurali e alternativi di contrasto allo spopolamento delle terre interne e di convivenza armonica in territori montani fragili e unici.

A un anno dall’apertura dei giochi di Milano-Cortina 2026, lanciamo un appello per una mobilitazione diffusa in montagna che attraversi l’intero arco alpino e appenninico domenica 9 febbraio 2025.

Cosa puoi fare

  1. Leggi e diffondi l’appello
  2. Dai la tua adesione e i tuoi contatti scrivendo a milanoape@gmail.com
  3. Partecipa alla call di costruzione della mobilitazione di lunedì 9 dicembre alle 18.30

Perché mobilitarsi ora

Il tempo delle mediazioni è finito. Gli scienziati ci dicono che l’ultimo turista sugli sci arriverà nel 2040. Eppure si continuano a progettare e costruire impianti di risalita, a scavare bacini per l’innevamento artificiale, a devastare versanti per inutili collegamenti tra comprensori. Dalle Alpi agli Appennini, dalla Val di Susa alla Basilicata, assistiamo allo stesso copione: grandi opere imposte dall’alto, trivellazioni, cementificazione, spopolamento.

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La pioggia inumidisce gli scarponi ma nutre il cuore

Il racconto del campeggio apeino 2024

Ci abbiamo messo un po’ a scrivere questo racconto perché nella nostra sezione ognuno ha fatto un pezzetto per realizzare il campeggio 2024 e rimettere insieme tutto non è stato semplice.

Tutto è partito dallo slancio delle e dei più freschi al campeggio del 2023, qualcuno per raccontare quel momento scrive: “ricordiamo distintamente il momento in cui abbiamo deciso di proporci per ospitare il campeggio nazionale A.P.E. a Bergamo. È stata una decisione presa con il cuore, senza troppe riflessioni, ma con la voglia di accogliere l’alveare con gesti e cura, per dimostrare ciò che noi bergafemmine e bergamaschi spesso non riusciamo a esprimere a parole”. Da un lato c’era il team “adoss campeggio A.P.E. a Bergamo”, dall’altra il team “ma chi ce lo fa fare, è pazzia!”.

Sono un po’ latitante, porta pazienza

Così dopo il nostro stesso stupore, in autunno ‘23 abbiamo iniziato a cercare delle strutture che potessero essere abbastanza spaziose, con i giusti servizi, in una location che permettesse di proporre gite adatte a tutte le gambe e che, certamente, rispecchiasse, i nostri valori. È stato un bel vagare per tutta la provincia, rovistando nel web, scomodando le rubriche di parenti più o meno prossimi e “portando molta pazienza”.

Questa citazione :“Scusa il disturbo, sono il Don sono un po’ latitante, porta pazienza…” è diventato il tormentone dell’inverno, perché di pazienza ce ne vuole tanta quando sei alla ricerca del posto perfetto per l’incontro d’estate. Da problema la ricerca è diventata risorsa, ci ha fatto riflettere sui valori apeini e sui nostri desideri: prendere un posto molto comodo, con tante gite a disposizione, con tanto spazio per le tende, ma di proprietà della curia; o prendere un posto un po’ più scomodo, con gite più classiche, meno spazio a disposizione ma che sia di una persona locale e supporti l’economia del sistema nel quale avremmo vissuto per 4 giorni?

Ospitare il campeggio è stato molto stimolante per la nostra sezione, ha dato vita a una serie di contrasti, domande e pensieri su come viviamo la montagna, su come ci approcciamo a dei territori così fragili. È da queste riflessioni che è nata la volontà di proporre un momento di condivisione e riflessione collettivo, delle chiacchiere, informali, che hanno dato nuova linfa alla missione apeina. Abbiamo capito che prima di tutto vogliamo conoscere e rispettare la montagna, sia gli aspetti ambientali che quelli sociali, spogliandoci dallo sguardo colonialista che possono avere dei cittadini che si avventurano per le terre alte e provano a mettere il naso in un contesto molto differente dal loro quotidiano.

QUI IL REPORT del momento di confronto di venerdì.

Pioggia a catinelle

L’arrivo delle sezioni è stato graduale, lo sciame ha iniziato a radunarsi il giovedì ed è stato bello vedere chi si conosce da anni ritrovarsi in un abbraccio e chi, timidamente, spuntava dal sentiero e prima ancora di presentarsi si stupiva della bellezza della Baita Salvasecca che ci ha ospitato. Giovedì sera il piccolo gruppo arrivato a Valbondione ha trascorso la serata tra briscole, chiacchiere e buon vino. La giornata si è conclusa con l’arrivo delle API appulo-lucane, spuntate nella notte come lucciole dal bosco, un po’ stanche dal lungo viaggio, ma con un gran sorriso in volto.

Purtroppo la paura più grande del campeggiatore non ci ha risparmiato: il meteo non è stato dalla nostra parte. Le gite del venerdì (Val Sedornia e Lago Spigorel) sono state inumidite da una spruzzata di pioggia. Mentre le escursioni del sabato sono state riviste (Rifugio Coca con due itinerari differenti). Tutto è cominciato con la sveglia all’alba, alle 5.00 le prime moke hanno iniziato a gorgogliare in cucina e si è iniziato a prepararsi per la gita 3 API, ma le nuvole basse non promettevano nulla di buono, si è deciso quindi di aspettare. Il maltempo non ha dato tregua e anche la gita 2 API è sfumata. Quando tutto lo sciame ormai era sveglio, riunito nel salone verso le 8.30 – 9.00, è stata presa la decisione di fare una camminata che fosse fattibile anche sotto la pioggia incessante. Scarponi ai piedi e impermeabile in testa, il gruppo è partito alla volta di Maslana intonando “Vieni, vieni, vieni, vieni, bella, bella, bella mora, vieni a Maslana con me!”

Rimane un po’ di amaro in bocca, ma abbiamo avuto la conferma che la montagna non è lì per noi e non ne siamo i padroni. Ci è sembrato quasi che le Orobie e la loro severità non volessero mostrarsi a così tanti forestieri, almeno non questa volta. 

QUI LE INDICAZIONI PER LE GITE.

Buttare il cuore oltre l’ostacolo

Sabato pomeriggio ci ha raggiunti anche il C.I.O. Comitato Insostenibili Olimpiadi, che ha permesso a tutte le sezioni di conoscere il caro prezzo che i nostri territori e le nostre comunità stanno pagando per le Olimpiadi di Milano Cortina 2026. 

Sabato sera, dopo una deliziosa cena – un ringraziamento speciale va alla brigata della cucina che ha soddisfatto tutte le aspettative – i La.P.I.S., Laboratorio popolare ì Sifulére, ci hanno raggiunto per un momento di canto popolare.

Domenica mattina, giocando con le nuvole, il sole ha deciso di farci visita illuminando i sentieri sopra Valbondione. Mentre il profumo di caffè saliva dalle scale e si espandeva in tutta Salvasecca alcune API hanno indossato gli scarponi e sono andate ad ammirare la poco distante cascata della Foga e tutto lo sciame si è riunito in un lungo pranzo per godere del sole ritrovato. 

L’attesa, gli abbracci sudati, la fiducia nelle campagne e nei compagni e il supporto reciproco hanno caratterizzato questi giorni. Tutto è andato incredibilmente bene, senza frizioni, ma con entusiasmo e responsabilità condivise.

Quando l’alveare si riunisce il ronzio che genera è potente. Un ronzio fatto di voglia di andare in montagna insieme, di condivisione di lotte, di forte affetto, di scambio di pratiche, di balli trash e canzoni popolari.

Quando l’alveare si riunisce sotto il tetto della sezione Bergamasca non possono mancare pioggia, birrette e maionese. Abbiamo buttato il cuore oltre all’ostacolo e gli abbiamo permesso di riempirsi di tanti ricordi e sogni per il futuro.

Grazie come sempre ad A.P.E. per l’energia e la condivisione.

Sempre più in alto
per una nuova umanità!

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