La mia prima APE
È doverosa una premessa: oltre a essere una novizia dell’APE, sono anche una neofita della montagna. Solo recentemente ho scoperto quanto mi piaccia camminare ad alta quota, ma questo è tutto ciò che so: MI PIACE. Per il resto è un vuoto cosmico che devo riempire.
Da qui inizia il racconto, o meglio, inizia il giorno prima della partenza. Avevo fatto qualche domanda alla riunione del lunedì (ogni quarto lunedì del mese a Piano Terra NdR), mi ero letta la scheda dell’uscita, ma la vera questione della sera prima era: “Cosa cazzo si porta nello zaino per due giorni in montagna?” Zaino? Ma io ne ho solo da 50 litri, troppo grande… con quello si sta via un mese di vacanza… e da qui inizia un turbinio di scelte più o meno discutibili su equipaggiamento e vestiti da portare; per inciso, ringrazio molto quella sezione del sito dedicata allo “zaino apeino” che mi ha supportato in queste difficilissime scelte. E così alle 6.30 della mattina del 30 settembre salgo sulla mia biciclettina con degli scarponi che si riveleranno di un numero troppo grande e uno zaino a fiori davvero discutibile per i puristi della montagna. Arrivo a Piano Terra, l’impatto è subito positivo: qualche faccia conosciuta che con calorosi saluti mi fa sentire subito a mio agio, le facce nuove, nonostante l’ora e l’aspetto ancora assonnato, non risparmiano chi un saluto, chi un sorriso e chi la voglia di presentarsi. Insomma, mi scende un po’ di quell’ansia da prestazione di quando si fa qualcosa di nuovo con persone sconosciute.
Tesseramento! L’immancabile pratica di associazionismi di qualsiasi tipo fa percepire subito una natura diversa: i moduli non si trovano, neanche le tessere. Alessandro, che si trova costretto palesemente controvoglia a svolgere questa mansione, viene immortalato con foto ricordo (si prega di allegarla al racconto), ma alla fine di tutto porta a casa con entusiasmo il risultato. Nuovi tesserati e rinnovi, eseguiti!
Si parte, dopo un po’ di chiacchiere e qualche curva si arriva al punto d’incontro, pochi minuti e ci siamo tutte e tutti. Si inizia a camminare. Meta? Il rifugio Trona Soliva. Da qui inizia per davvero la mia due giorni di montagna e la mia PRIMA APE! La strada agro-silvo-pastorale verso il rifugio prosegue senza particolari difficoltà e il gruppo mi fa sentire immediatamente ben accolta. Il percorso è tutt’altro che silenzioso: in tanti iniziano ad avere la voglia di fare domande, di sapere di me, di chi sono, cosa faccio, ma soprattutto cosa mi ha portato lì con loro. Per questo ci vorrebbe un capitolo a parte e quindi lasceremo ai lettori una vena di mistero, mi sento solo di dire “Bella Ciao” perché, con lacrime e rabbia, è decisamente merito tuo.
Arriviamo al rifugio: l’accoglienza è ottima, mangiamo quello che ci siamo portati da casa per pranzo, ci riposiamo al sole sul prato, scarichiamo qualche peso dallo zaino e aspettiamo di ripartire. La seconda parte della giornata non sarà una semplice camminata, ma un sopralluogo narrato lungo il cantiere della pista di e-bike che taglierà la valle. La voce del dissenso è quella di Andrea Savonitto, detto Il Gigante, epiteto che gli calza a pennello, non solo per la sua stazza imponente ma anche per la “gigantesca” conoscenza delle Alpi Orobie e di tutti questi territori; dalle sue parole si percepisce il suo essere il vero padrone di casa – anzi, più che il padrone, un vero amico di questi luoghi che chiama “casa”.
Risulta quindi molto facile e comprensibile la sua battaglia di opposizione all’ennesimo progetto volto al rilancio di turismo, senza tenere conto della conformazione dei territori e di chi veramente li vive, ma soprattutto senza ascoltare la voce di chi questi territori cerca di preservarli da una devastazione antropica, che si mangia sempre più microclimi ed ecosistemi. La passeggiata lungo questa pista di e-bike – purtroppo in larga parte già esistente – ha qualcosa di tragicomico, dato che è chiaramente impraticabile da qualsiasi tipo di mezzo a pedali: il grado di difficoltà delle salite, con aggiunta di sassi e rocce lungo il percorso, la rende più un’impresa di sopravvivenza che una tranquilla gita per nuovi avventori e famiglie. Nel raccontarci questo territorio, Andrea ci ha fatto percorrere in parte anche il sentiero originario di questa valle, e un passo dopo l’altro è diventato sempre più evidente come la smania di colare cemento e far brillare pezzi di montagna superi sempre di gran lunga il buon senso. Alla fine di tutto il tragitto, insomma, il mio cervello mi impartiva un mantra chiaro: “Va’ fin dove le tue gambe ti possono portare”, non c’è sempre bisogno di costruire “IL NUOVO” per rendere raggiungibili posti che non sono chiaramente adatti a tutti i mezzi di locomozione, contando poi che per far arrivare le macchine a tutti gli alpeggi della zona hanno già realizzato larghe strade facilmente percorribili…
Il resto del pomeriggio ha visto la divisione tra chi si è rifocillato e riposato al rifugio e chi ha preferito non slacciarsi gli scarponi e proseguire con una veloce camminata fino al rifugio FALC. La scelta della strada più facile non è sempre ovvia, e quindi l’ufficio complicazione affari semplici ha deciso di mettersi alla guida del gruppo e di fare un giro panoramico per osservare più da vicino il Pizzo Tre Signori, ma questo ha reso tutto molto più sperimentale e divertente. Il tempo di una birra, di due chiacchiere con Elena, amica di APE che da qualche anno gestisce il rifugio, e si riparte per rientrare al Trona Soliva prima che faccia buio. La sera è trascorsa davanti a ottime pietanze, davvero strepitosi i pizzoccheri, chiacchiere, risate e un bellissimo spettacolo di intrattenimento di Zuma, formidabile cantastorie del gruppo. Fuori la luna piena era enorme e il cielo stellato ha incantato tutti. Non ricordo esattamente a che ora mi sono addormentata, ma le parole del Gigante che raccontavano pezzi di storie di queste montagne, tra orografia, memorie e aneddoti mi hanno conciliato il sonno, immaginando il lago Zancone, unico lago ancora naturale nella zona, meta del giorno successivo.
La mattina del secondo giorno, dopo un’abbondante colazione, ha visto il gruppo dividersi in due, una parte diretta al famigerato lago Zancone e gli altri al Pizzo Mellasc. Questi ultimi hanno sperimentato una salita senza sentiero, facendosi guidare solo dalle parole di Andrea su come raggiungere la vetta, esperimento non molto riuscito che li ha portati a unirsi al resto del gruppo al lago, dopo aver affrontato una cresta decisamente impegnativa. Il lago Zancone aveva un non so che di magico, in mezzo alle montagne, con acqua cristallina e il sole caldissimo, forse fin troppo per l’ultimo weekend di settembre, che si rifletteva in tutta la conca. La strada del ritorno, anche in questo caso, è stata una sperimentazione di sentieri, (mai rifare lo stesso percorso dell’andata è sembrato essere il mantra della due giorni), e anche questa volta tra un giro e l’altro, tra parole e pensieri siamo tornati al rifugio, questa volta però solo per recuperare tutte le nostre cose e scendere fino al parcheggio di Laveggiolo.
Questa due giorni mi ha regalato una moltitudine di belle emozioni: la natura che come sempre trasmette quella tranquillità ai miei sensi, il camminare che scarica tutte le mie tensioni, ma soprattutto un sacco di persone interessati con cui scambiare opinioni, confrontarsi e raccontarsi. L’umanità di questa due giorni è stata molto forte, mi sono sentita parte del gruppo fin da subito e so già che questo sarà solo l’inizio di un nuovo percorso che ha come sfondo la montagna ma come attore principale APE.
…. Penserete di essere arrivati alla fine del viaggio…. Eh, no! La nostra macchina per evitare il traffico sulla strada del ritorno ha compiuto un divertentissimo e, ribadisco, esilarante giro della Brianza, tra il lungolago di Lecco e i luoghi di infanzia del nostro autista Alessandro. Non credo che la nostra ciurma abbia risparmiato neanche un minuto della coda, ma sicuramente ha reso un noiosissimo rientro nella city dopo un weekend fuori porta degno di menzione. Di certo ce lo sentirete raccontare.
Cora per APE Milano