Alpinisti illegali in Urss. Viaggiare controvento, tra contrattempi e montagne lontane

Pescando nella biblioteca apeina di Piano Terra ci si può imbattere nelle storie raccolte da Cornelia Klauss e Frank Böttcher all’interno del volume Alpinisti illegali in Urss. Viaggiare controvento (Keller Editore). Si tratta delle vicende, dei reportage e dei ricordi di alcuni degli alpinisti e “avventurieri” che negli anni Settanta e Ottanta superarono diversi confini (con documenti non sempre in regola…) per andare alla scoperta di alcune montagne più iconiche dell’allora Unione Sovietica, al tempo sconosciute ai più e, per questo, con un fascino ancora maggiore.

Ascensioni che partono con viaggi di avvicinamento ricchi di contrattempi e attese – a contatto con popolazioni, e funzionari politici, spesso stupiti di vedere arrivare degli stranieri da tanto lontano per visitare le loro terre desolate – per poi puntare alla vetta dell’Elbrus o del Picco Lenin (oggi Picco Ibn Sina). Il primo contributo è dedicato ai nuovi scalatori dell’allora DDR, all’analisi del loro rapporto con l’alpinismo di Stato e al racconto dei loro pellegrinaggi nel Caucaso o nel Pamir, spedizioni per cui era formalmente necessario avere un invito scritto da qualche cittadino russo (“C’erano i vecchi scalatori, gli escursionisti o gli esperti della vecchia guardia […], anche loro avevano provato a farsi invitare a scalare dagli amici russi. Quelli lì erano spesso persone molto seriose […] E poi c’era questa corrente di giovani pronti a osare, che al rischio univano l’avventura e la scalata“).

Si passa poi all’irrealizzato e raffazzonato viaggio verso il Caucaso, e gli oltre 7.000 metri del Picco Lenin, di Hartmut Beil. Con pochi soldi, muovendosi in autostop e altri mezzi di fortuna, dotato di cartine ritagliate dai libri di scuola e mangiando quasi unicamente albicocche, il protagonista cerca di arrivare al campo base delle sue salite, limitandosi in realtà a un lungo tragitto di avvicinamento, tra controlli alle dogane, accuse di spionaggio e notti passate in commissariati di polizia, senza alla fine nemmeno riuscire, esausto per tutti quei contrattempi, a toccare le rocce dei monti a cui era diretto. Ma come spesso succede, e a riconferma di una celebre strofa di De André (“Per la stessa ragione del viaggio viaggiare“), le parole con cui Beil conclude i suoi ricordi sono comunque dolci: “Non ho mai più provato a conquistare una vetta di 7000 metri. All’inizio ero ancora un po’ triste per il fatto di non aver mai raggiunto il Caucaso ma, col senno di poi, le molte situazioni umanamente estreme in cui mi ero imbattuto furono di gran lunga più importanti del Picco Lenin. Avevo cercato un’avventura e ne avevo trovata un’altra, e questo forse era persino meglio. I miei settemila furono la Crimea“.

Se Beil ha dovuto rinunciare alla vetta, c’è anche chi i 7.134 metri del Picco Lenin è però riuscito a “conquistarli” davvero, pur con il rischio di ritrovarsi i piedi e mani congelati, come racconta Ulrich Henrici in un altro dei capitoli del volume.

Alpinisti illegali in Urss. Viaggiare controvento ripercorre insomma viaggi e scalate alla conquista di alcune delle montagne più note dell’allora Unione Sovietica realizzati con molta meno organizzazione e esposizione mediatica, e ovviamente social, di oggi. Con un maggior spirito di avventura, meno strumenti tecnologici e la capacità di adattarsi con più leggerezza agli imprevisti a cui si va fisiologicamente incontro lungo la strada.

A leggere ora quei resoconti, mentre si sta preparando la nostra prossima gita, non può che venire un po’ di nostalgia.

Paolo, per APE Milano

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